Sali e scendi tra la Val Inguagnera, il Monte San Marcello e la Serra Matarazzo - Cima Matarazzo 2007 mt..

Chissà perché Giorgio si è fatto rapire dall’idea di salire finalmente le cime esterne, ad Ovest, del Parco Nazionale? Era tempo che avevo proposto Cima di Serra Materazzo fino al Bellaveduta e Rocca Altiera, un po perché volevo conoscere una zona a me quasi sconosciuta e poi perché nella mia testa c’era l’idea di incontrare una zona particolarmente poco battuta dal popolpo dei trekker. Da ultimo mi allettava l’idea di poter osservare da un punto privilegiato tutta la dorsale dei monti della Meta. Fatto sta che per il ritorno in montagna dopo un periodo di convalescenza Giorgio ha lanciato questa proposta che non ho potuto far altro che appoggiare. All’appello rispondono Andrej, Luca e novità annunciata da tempo anche il papà di Luca. Come sempre l’avvicinamento è lungo, quando ti pare di essere arrivato l’arrampicamento per Forca d’Acero è interminabile. Da tempo desideravo vedere questo passo e devo dire che le aspettative sono state ampiamente ripagate; un ambiente di montagna severo ma rigoglioso di boschi lussureggianti ed in mezzo questo serpente di asfalto i cui tornanti ricordano paesaggi di alpina memoria. Un minimo di difficoltà per intercettare il punto di attacco al sentiero e decidiamo di farlo un po’ sotto Forca d’Acero, al limite del bosco, nel versante laziale, in un traverso che conduce nel giro di soli 30 minuti nel cuore della Valle Inguanera, austera ed affascinante, con le sue linee che conducono direttamente lo sguardo verso la nostra prima meta, Cima di Serra Materazzo. L’escursione ha inizio alle 7 e 40, le condizioni meteo sono fantastiche, un leggero venticello tiene la temperatura meravigliosamente fresca, il sentiero traversa il fianco della dorsale formata dai monti Panico e il S.Nicola , sopra la grande valle che si incunea verso San Donato in Val Comino che domina la piana intera. Di fronte, a chiudere il catino vallivo si elavano le creste degli Ausoni, una modesta catena montuosa completamente coperta di boschi lussureggianti. Dopo nemmeno un quarto d’ora ci inoltriamo nelle ultime propagini del bosco che sale da valle; lo attraversiamo e immediatamente ci troviamo nel cuore delle Valle Inguanera. Il sentiero tiene la sinistra del versante dominato in fondo dalla cima e dalla cresta di Cima Materazzo, la serra omonima è di fronte a noi e lentamente sale fino alla sommità dei 2007 metri. Piuttosto che continuare all’interno della valle decidiamo unanimemente di salire le coste di fronte attaccando il severo pendio in un tratto accessibile, al limite del bosco e della cresta rocciosa. Scendiamo in valle dove incontriamo dei ruderi di vecchi stazzi e riprendiamo i ripidi pendii erbosi del versante opposto. Una salita breve ma intesa, nel tratto finale dominata da un bosco fresco e bellissimo e nel giro di trenta minuti siamo sulla dorsale della Serra Materazzo. Di fronte si apre un’altra valle, la Val Lattara delimitata nell’altro versante da una serra rocciosa che culmina nel bel monte S.Marcello, una vedetta sulla piana sottostante. Sostiamo per riprendere fiato e per dare inizio alle scorte alimentari. Il sole nel frattempo ha scaldato l’aria, il venticello fresco di prima è diventato piacevole. Ripartendo discutiamo un po’ sul percorso da seguire; consiglio di continuare in cresta sulla Serra dove siamo ma tutti sembrano eccitati dal taglio che si incassa nella dorsale che abbiamo di fonte. Riprendiamo a scendere di nuovo; consapevole che stiamo allungando il giro provo un’ultima resistenza prima di incamminarmi col gruppo. La slita sulla dorsale è entusiasmante; ciò che sembrava un ripido pendio si dimostra un’agevole ripida salita fatta di tanti tornantini e di un sentiero ben segnato. Presto siamo sopra in in una mezz’ora, un ambiente isolato composto da enormi doline adatte al pascolo. Saliamo ora le evidenti linee dei dislivelli naturali che ci conducono verso l’alto fino ad attraversare un tratto roccioso divertente; e poi ancora un falso piano che impedisce di capire bene quale sia la nostra cima, un gioco di rilievi rotondi e di prospettive ci impedisce di dare senso al luogo. Continuo a ripetere che siamo spostati troppo ad ovest rispetto all’obiettivo ma sembra che solo io sia convinto di questo e forse mi rendo conto di stare ad assumere i connotati di una petulante palla al piede. Sotto la vetta che ci domina, in una sella a strapiombo nella valle sottostante, arrampicato nelle rocce sottostanti ci osserva un camoscio che non fa una piega al nostro passaggio. Si limita ad osservarci. Ancora pochi ansimanti passi e siamo sulla cresta, in quella che ci accorgiamo solo dopo aver consultato le carte, non essere la vetta principale ma solo una anonima quota 1997 mt. Cima di Serra Materazzo è alla nostra sinistra dopo una profonda sella. Davanti a noi si apre lo sconfinato panorama verso le creste della Meta e dei Marsicani. Era questo ciò che cercavo, localizzare e memorizzare questa parte di territorio a confine tra i due sistemi montuosi. E scoprire che il boscoso Balzo della Chiesa con l’attiguo Capraro fanno ancora parte dei Monti Marsicani, divisi dai Monti della Meta e quindi dal versante meridionale del parco dalla sella di Forca Resumi con l’omonimo rifugio evidente da qualsiasi versante lo si guardi. Tra noi e i Monti della Meta tutta la Serra delle Gravare, allettante da percorrere, oltre perché conduce ai nostri successivi obiettivi della giornata, perché offre un affaccio stupendo sulla Val Canneto, dal Petroso al Monte Meta. Solo 10 sono i metri di differenza con la vetta principale, che dobbiamo però pur toccare. Dopo una sosta in cui aproffittiamo per mangiare qualcosa e rimirare a lungo lo sconfinato panorama scendiamo verso la sella sottostante; occorre aggirare il pendio, la discesa diretta è molto ripida. Sulla cresta della sella, Luca in anticipo su tutti, ha la fortuna di poter sorprendere il camoscio che avevamo visto in precedenza. Era a pochi passi da lui ed è riuscito a fotografarlo nonostante il grande fugone che l’animale ha preso. La salita alla Cima di Serra Materazzo è breve e ripida per gradoni rocciosi. Il perimetro tondeggiante che saliamo contrasta con il ripido e roccioso versante nord della montagna; tocchiamo la vetta alle 11 e 10. Un omino di vetta scomposto e appiattito ne contrassegna la sommità come in tutte le vette del nostro Appennino, ma la sorpresa che troviamo è di tipo toponomastico. Sulle carte la montagna viene riportata come la Cima di Serra Materazzo; sui sassi dell’omino e su uno ben piantato nelle vicinanze vengono riportati 2 nomi diversi che fanno però riferimento alla stessa quota 2007: Cima Presepe e Cima Nella. Nessuno di noi conosceva queste alternative, forse si tratta di nomi dati alla montagna dai locali. Su un sasso dell’omino è inoltre incollato un abbozzo di presepe, forse in onore del nome locale della montagna, ma qualche stolto irrispettoso ha pensato bene di decapitare i personaggi principali. Stoltezze d’alta quota, ancora più incomprensibili perché per compierle devi prima aver sudato e faticato non poco. Il panorama è lo stesso della cima gemella calpestata pochi minuti prima. Solo lontane nuvole in forte crescita stanno modificando i contorni dell’orizzonte verso la Meta. Le foto di rito, qualcuno mangia qualcosa e prendiamo a discutere sul da farsi. Per la Bellaveduta, davvero bella montagna davanti a noi ci sarà circa un’ora o poco più di percorso, un passaggio in cresta sulla Sella delle Gravare e un’ultimo spigolo per aggredire la montagna, un passaggio in fronte ai monte della Meta davvero entusiasmante ma mentre progettiamo il da farsi la doccia fredda della rinuncia di Giorgio ci colpisce inaspettata. Non ce la fa più; probabimente non ancora completamente ristabilito dagli ultimi acciacchi accusa una forte stanchezza e non se la sente di allontanarsi ancora. Si accoda a lui l’appagato Andrej sempre restio a nuove conquiste dopo aver toccato la prima meta; ci spronano ad andare lo stesso perchè ci avrebbero aspettato ma non ho ritenuto possibile un’attesa così lunga di almeno 3 ore. Il sole picchiava e le nuvole veloci a formarsi potevano anche disporsi a pioggia. Dal momento che eravamo venuti con due auto ho pensato che sarebbe stato bene far continuare Luca e il padre, dimostratosi anche profondo conoscitore di quei luoghi, ma la loro solidarietà gli ha impedito di separsi dal gruppo. Non rimaneva che prendere per la via del ritorno, questa volta interamente dentro la Val Inguanera, proprio mentre le nuvole si formavano con tale velocità all’interno della valle che a tratti l’orizzonte ci veniva completamente nascosto. In alcuni momenti, nei tratti alti della discesa, ci siamo trovati immersi nella nebbia. Il sentiero non ha segnavia, ma è ben tracciato e molto evidente. Fila via veloce mantenendo la quota sul lato est della valle. Il papà di Luca fila sempre davanti al gruppo e risulta, come è stato per tutta la giornata, un gran instancabile camminatore; non che ci si aspettasse diversamente, abituati al figlio e alla sua proverbiale resistenza tutto risultava perfettamente in regola. Il ritorno non ci ha riservato altre sorprese; le nuvole si sono alzate e nonostante una certa incertezza non ci hanno infastidito fino al ritorno in auto intorno alle 13 e 30. Il tempo di ricomporsi e questa volta la decisione presa è avvenuta all’unanimità. Il ristoro di Forca d’Acero era a solo un chilometro verso la montagna; prometteva arrosticini e vino, il modo migliore per chiudere una bella giornata in montagna. L’ultima sorpresa della giornata ce l’ha data Lilli, una volpiacchiotta di 10 anni avvezza a frequentare il locale, i tavoli degli avventori e a prendere il cibo dalle mani dei clienti. Ma la volpe non era l’esempio dell’animale selvatico per eccellenza? Brutto ma pittoresco esempio di come noi umani riusciamo a sovvertire anche le più antiche regole del mondo animale.